Gianni Berengo Gardin, Maurizio Rebuzzini – Leica e le altre

Gianni Berengo Gardin, Maurizio Rebuzzini
Leica e le altre – Onesti tradimenti
Pelici Associati – Roma 1999

pelitiassociati.eu

Wikipedia: Gianni Berengo Gardin

Il fotografo e le sue macchine fotografiche sono ritratti insieme, per illustrare una storia di un amore che comincia dall’infanzia.

“Un giusto e doveroso omaggio alle macchine che mi hanno accompagnato nella professione fin dalla giovinezza”, come racconta Berengo. Si tratta di Leica nella maggior parte dei casi, ma anche di altre, appunto, come Nikon, Super Ikonta…

“Un omaggio all’amore che io e quindici amici fotografi abbiamo per la nostra ‘amante’, perché per me, e per loro, la macchina […] è qualcosa a cui siamo intimamente e sentimentalmente legati”. Il libro ripercorre le vicende e l’invecchiare progressivo e contemporaneo dei due “amanti”: “io che lentamente negli anni incanutisco e mi copro di rughe e lei che a poco a poco si ammacca e si scrosta”.
pelitiassociati.eu

 

A nice little book that presents photos of Gianni Berengo Gardin and his cameras. Starting with one in 1942 of him and his mother with a Ica Halloh bellows camera through 1998 with a whole array of cameras, these images present Gardin in action, or posing with models, or casual snapshots, but all feature a camera as part of the image. Gardin is an world-renown Italian documentary photographer.

Text and photographs by Gianni Berengo Gardin; essay by Maurizio Rebuzzini.
eurobuch.com

 

Onesti tradimenti di Gianni Berengo Gardin, una sequenza di ritratti nei quali il celebrato autore italiano è raffigurato con le macchine fotografiche della sua vita, dalla Ica, del 1942, alle tante Leica (per il cui uso è noto e riconosciuto), fino alle M3 e M6, del 1998;
lab.leica-camera.it

 

Innamorato della mia Leica da lei non divorzierò mai
Vorrebbero farci divorziare. Seminano zizzania tra noi, fanno terrorismo psicologico. Dicono che è vecchia, e che presto resterà senza pellicola, ma non è vero, non ci sono mai state tante pellicole in bianco e nero come in questi anni, le fanno perfino i cinesi e se le fanno loro vuol dire che c’ è mercato. Calunniano solo per farci disamorare. Ma noi, quelli della Leica, siamo amanti fedeli.

La mia prima volta fu nel ’53. Era una 3C, con obiettivi intercambiabili a vite. La comprai usata: anche allora costava tantissimo.

Ma era la macchina dei più grandi. Da Cartier-Bresson, che la scoprì prima della guerra, tutti i grandi fotoreporter l’ hanno usata. Alcuni l’ hanno lasciata. Io, mai. Non che non l’ abbia tradita, qualche volta. Ma come ho scritto nel sottotitolo di un mio libro, Leica e le altre, sono sempre stati «onesti tradimenti». Come tutte le bellissime donne, la Leica non è perfetta. Non sa fare proprio tutto. Quando ho avuto bisogno di un teleobiettivo un po’ tirato, o di fare della macrofotografia, ho dovuto chiedere i servigi di altre. Ma sono sempre state scappatelle autorizzate e occasionali. Ogni ritorno alla Leica per me era la gioia dell’ amore ritrovato.

Quindi sono fedele; e poligamo. Mi vergogno un po’ a dirlo, ma ne possiedo sei. Solo della M7 ho tre corpi macchina.

La mia preferita però resta la prima M che comperai a rate nel ’54, a Venezia. Funziona ancora oggi, dopo più di mezzo secolo, senza mai una riparazione. Perché questa è la Leica. La certezza di una macchina senza difetti. Per capirlo dovreste vederla spogliata, cioè smontata. Ogni pezzo è perfetto. Sono stato tre volte in visita alla fabbrica, a Solms, solo per il piacere di vederla costruire. E poi è un piacere usarla. Piccola, silenziosa, maneggevole, sta in tasca, e io ne ho sempre una in tasca.

Quando Barnack la inventò era cinquant’ anni avanti a tutte le altre. Poi lei è rimasta perfetta, le altre sono migliorate, ma è ancora avanti di vent’ anni. La Leica digitale è una bestemmia: anche se, lo capisco, quando sei nei guai veri ti tocca bestemmiare. Eppure, quando esplose la moda delle reflex, lei resistette senza problemi. Io tuttora preferisco di gran lunga il suo mirino a traguardo. Un po’ perché non mi piace guardare il mondo in uno specchio. Un po’ perché con la reflex vedi solo quello che ci sarà nella fotografia, mentre col mirino Leica vedi sempre un po’ di più, e non ti scordi che c’ è dell’ altro mondo oltre la cornice del rettangolo. Ma soprattutto, lo so che è una sciocchezza ma per me conta, la Leica è l’ unica macchina che ha una storia e una cultura: lo diceva Cartier-Bresson ed è vero.

Quando scatti con una Leica sei dentro la tradizione più gloriosa della fotografia, sai di partire col piede giusto, dal trampolino più alto, poi naturalmente il salto spetta a te, ma è un bell’ incoraggiamento. Per questo, ne sono sicuro, la Leica non morirà mai. Ci saremo sempre noi, o quelli come noi, innamorati inguaribili e fedeli. Pronti a tutto per difendere la nostra passione. Una sera a Roma, nell’ 80, me ne scipparono due dal collo: lottai per trattenerle, presi anche un po’ di botte, ma dovevo farlo. Un vero uomo difende l’ onore della sua compagna.

GIANNI BERENGO GARDIN (testo raccolto da m. s.)
ricerca.repubblica.it